Scheda  
29 Luglio 2025


Violenza sessuale di gruppo e fatti di lieve entità: una questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale per i minorenni di Milano


Massimiliano Dova

Tribunale per i minorenni di Milano, ord. 4 febbraio 2025, n. 49, Pres. Dell'Osta


1. Una questione di proporzionalità impostata secondo lo schema classico del tertium compatationis. – Con l’ordinanza in commento, il Tribunale per i Minorenni di Milano ha sollevato questione di legittimità costituzionale del delitto di violenza sessuale di gruppo di cui all’art. 609-octies c.p. nella parte in cui non prevede un’attenuante ad effetto speciale, non eccedente i due terzi, in relazione a fatti di lieve entità, per contrasto con i principi di proporzionalità (art. 3 Cost.) e finalità rieducativa della pena (art. 27, c. 3 Cost.).

L’incidente di costituzionalità trae origine dall’aggressione sessuale consistita in plurimi toccamenti delle parti intime sopra i vestiti, che sarebbe stata commessa da tre minorenni, uno dei quali non imputabile e un altro rimasto ignoto, nei confronti di un altro minore. Secondo l’argomentazione del Giudice rimettente, al fatto di violenza sessuale di gruppo appena descritto, pur potendo essere agevolmente qualificato di minore gravità, non può applicarsi l’attenuante prevista dall’art. 609-bis, c. 3 c.p. prevista per la fattispecie monosoggettiva. A impedire un’interpretazione estensiva di tale disposizione all’ipotesi a concorso necessario, pur sostenuta con buoni argomenti da parte della dottrina[1], osterebbero ragioni di ordine logico e sistematico che sono state elaborate da un orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità e costituzionale. L’espresso richiamo effettuato dal solo art. 609-quater c.p. (atti sessuali con minore) dell’attenuante di minore gravità prevista per la violenza sessuale monosoggettiva sarebbe frutto della consapevole e volontaria scelta del legislatore di estendere l’attenuante ai soli casi espressamente previsti. Tale opzione legislativa vanificherebbe anche la premessa necessaria per compiere un ragionamento di tipo analogico: l’esistenza di un’involontaria lacuna normativa. A questi argomenti di carattere ermeneutico, se ne aggiunge un altro che mette in rilievo l’incompatibilità logica di tale estensione dell’attenuante di minore gravità per l’ipotesi monosoggettiva rispetto al maggiore disvalore della violenza sessuale di gruppo.

Dinanzi all’impossibilità di giungere a un’interpretazione costituzionalmente orientata, i Giudici minorili impostano la questione di legittimità a partire dai precedenti arresti della Corte costituzionale che, ormai vent’anni fa, avevano ripetutamente respinto i dubbi di costituzionalità del trattamento sanzionatorio della violenza sessuale di gruppo. In entrambe le pronunce la Corte esclude la possibilità di sindacare l’esercizio del potere discrezionale del legislatore sulla proporzionalità della pena, perché la fattispecie di violenza sessuale monosoggettiva (art. 609-bis), in ragione della minore gravità dell’offesa alla libertà di autodeterminazione sessuale della vittima rispetto a quella di gruppo, non può fungere da valido tertium comparationis. Per questa ragione la Corte ritiene che «l'omessa previsione dell'attenuante dei “casi di minore gravità” non può quindi essere ritenuta espressione di una scelta del legislatore palesemente irragionevole, arbitraria o ingiustificata, contrastante con l'art. 3 Cost.»[2].

A fronte di questo scrutinio, a prima vista insuperabile dei Giudici costituzionali, occorre chiedersi quali siano gli elementi di novità che hanno indotto il Tribunale per i minorenni di Milano a sollevare nuovamente la questione. Per un verso, il giudice rimettente mette in rilievo l’ulteriore consistente aumento del 33% del minimo edittale che è stato stabilito della l. n. 69 del 2019 in relazione al delitto di cui all’art. 609-octies c.p., che è ora pari a otto anni di reclusione. Un aumento più consistente di quello rispettivamente previsto (del 20% del minimo edittale) dallo stesso intervento legislativo per la violenza sessuale monosoggettiva. Per altro verso, si ricostruisce, in estrema sintesi, la trama complessiva degli interventi più recenti della Corte costituzionale sulla proporzionalità dei minimi edittali e sui limiti al bilanciamento delle circostanze. All’esito di questo sintetico sguardo d’insieme, il Tribunale ne ricava «l’immagine di un sistema che […] risulta coerente e ragionevole perché prevede a monte (o, in altre parole, a valle consente al giudice di utilizzare) meccanismi che, in buona sostanza, consentono di adeguare la pena alle caratteristiche concrete del fatto, tenuto anche conto che molti dei reati sopra richiamati, e che prevedono tutti una attenuante, sono puniti con pene edittali di notevole rilevanza». Ed è sulla base di tali considerazioni che, il giudice remittente ritiene «ingiustificata, irragionevole e, in definitiva, violativa dell’art. 3 Cost.» la mancanza di un rimedio per «temperare la (grave) pena edittale prevista dall’art. 609-octies cod. pen. con una attenuante specifica per i fatti di minore gravità».

Così impostata, la questione di legittimità costituzionale sembra, a prima vista, fare riferimento al nuovo modello di sindacato sulla proporzionalità “intrinseca” della pena, che opera sul concetto di proporzionalità cardinale. All’esito di un progressivo affinamento avviato negli anni Novanta con la sentenza n. 341 del 1994[3], poi ripreso con la sentenza n. 68 del 2012[4] e compiutamente elaborato dalla più recente giurisprudenza a partire dalla sentenza n. 236 del 2016[5], la nuova struttura del vaglio di legittimità costituzionale opera attraverso un confronto diretto, a due fattori, tra il minimo edittale normativamente stabilito e la costellazione di fatti di lieve entità riconducibili al tipo legale, per stabilire se la pena minima non sia manifestamente sproporzionata rispetto alla minima gravità del reato[6]. Questo più incisivo schema di giudizio evita le strettoie del più risalente giudizio di proporzionalità ordinale, a tre fattori, che postula la difficile individuazione di tertia comparationis e che impone una conseguente soluzione “a rime obbligate”[7].

Pur partendo dalle premesse appena tratteggiate, i giudici minorili sembrano tuttavia imboccare la strada della proporzionalità ordinale imperniata sulla necessaria individuazione di un tertium comparationis. Il giudice remittente, lungo il solco tracciato dalle precedenti questioni di legittimità costituzionale sull’art. 609-octies c.p., individua i tertia comparationis nei reati di violenza sessuale (art. 609-bis c.p.) e di atti sessuali con minorenni (art. 609-quater c.p.). Per superare le statuizioni della Corte nelle pronunce del 2005 e del 2006, Il Tribunale osserva che «la diversità oggettiva delle due fattispecie (da una parte una violenza sessuale commessa sa un singolo; dall’altra una violenza sessuale commessa da più persone) è già valorizzata e ritenuta dal legislatore là ove sono state previste due cornici edittali completamente differenti (da sei a dodici anni di reclusione nel caso di cui all’art. 609-bis cod. pen.; da otto a quattordici anni di reclusione nel caso di cui all’art. 609-octies cod. pen.)».

A questa comparazione si affianca quella con il reato – in realtà del tutto eterogeneo in relazione alle modalità realizzative – di atti sessuale con minorenne, al quale è applicabile l’attenuante di minore gravità, anche a prescindere dalla differenza di età tra autore e vittima.

Effettuata questo fugace parallelo con la fattispecie di cui all’art. 609-quater c.p., sul quale neppure il Tribunale sembra credere, il Tribunale dei minori torna a confrontare la misura della pena in relazione ai fatti di minore gravità: quest’ultima è pari a due anni nel caso dell’ipotesi di cui al terzo comma dell’art. 609-bis c.p., mentre è pari a otto anni di reclusione nel caso della violenza sessuale di gruppo di cui all’art. 609-octies c.p.

Questa sproporzione che, secondo il giudice rimettente, «si crea tra fattispecie non già eguali o sovrapponibili, ma analoghe e idonee per effettuare una comparazione rilevante ex art. 3 Cost» non può che condurre alla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 609-octies c.p. «nella parte ove non prevede che nei casi di minore gravità la pena sia diminuita in misura non eccedente i due terzi». Al principio di proporzionalità della pena, sul quale è incentrata la questione, si affiancano due ulteriori parametri di costituzionalità: da un lato si fa riferimento alla finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27, c. 3 Cost., che verrebbe fatalmente ostacolata dall’inflizione di una pena sproporzionata e, per ciò solo, percepita come ingiusta dal condannato; dall’altro lato si menziona l’art. 31 Cost. per rafforzare l’argomentazione in relazione all’autore di reato minorenne, sebbene tale parametro non compaia poi nella formulazione del dubbio di legittimità costituzionale che è strutturato a prescindere dalla minore età.

Questa impostazione la questione di legittimità costituzionale, che è formulata a prescindere dalla posizione “speciale” del minore autore di reato, potrebbe sollevare qualche dubbio di ammissibilità. Per un verso, il giudice rimettente non prende in considerazione l’attenuante obbligatoria, ad effetto comune, prevista per il minore dall’art. 98 c.p. che, qualora venisse applicata congiuntamente alle attenuanti generiche (art. 62-bis c.p.), potrebbe portare a una sensibile riduzione della pena prevista dall’art. 609-bis, c. 3 c.p. Sebbene la Corte abbia più volte ribadito, che «l’applicazione di circostanze attenuanti è soltanto eventuale, e non è in grado pertanto di sanare il vulnus costituzionale insito nella comminatoria di una pena manifestamente eccessiva nel minimo»[8], avrebbe giovato, quanto alla rilevanza della questione, un richiamo dell’art. 98 c.p. per mettere in rilievo il carattere comunque manifestamente sproporzionato della pena minima a seguito dell’applicazione dell’attenuante della minore età. Si potrebbe, a tal riguardo, osservare che questa attenuante, pur essendo obbligatoria, non è volta a dare rilievo alla costellazione dei fatti di minore gravità di violenza sessuale di gruppo, ma al minore disvalore del reato commesso da un soggetto che attraversa una delicata fase di crescita.

Vi è poi un secondo aspetto da valutare: la rigidità normativa del minimo edittale previsto dall’art. 609-octies c.p., che si sospetta come manifestamente eccessivo per la fascia bassa di gravità dei fatti riconducibile alla fattispecie astratta, può essere temperata nel sistema penale minorile, attraverso il ricorso a risposte punitive alternative, come la sospensione del processo per messa alla prova di cui all’art. 28 d.p.r. 22 settembre 1988, n. 448 la cui applicazione è preclusa – a seguito del d.l. 15 settembre 2023, n. 123, conv. in l. 13 novembre 2023, n. 159 – esclusivamente in relazione alle ipotesi aggravate di violenza sessuale di gruppo ai sensi dell’art. 609-ter c.p. Tale modifica normativa è tuttavia entrata in vigore dopo la commissione dei fatti giudicati nel procedimento dinanzi al Tribunale dei minorenni. Questo aspetto sembra richiamare le eccezioni di inammissibilità sollevate dall’Avvocatura dello Stato e respinte dalla Corte nella sentenza n. 46 del 2024[9]: se in quest’ultimo caso il giudice rimettente aveva, tuttavia, plausibilmente motivato la ritenuta inapplicabilità nel caso concreto sia della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), sia della causa di estinzione del reato per condotte riparatorie (art. 162-ter c. p.), nell’ordinanza del Tribunale per i minorenni non si dà conto della possibile applicazione delle sospensione del processo e messa alla prova.

 

2. Il necessario riferimento alla proporzionalità cardinale. La questione di legittimità costituzionale sulla manifesta sproporzione del minimo edittale della violenza sessuale di gruppo merita di essere condivisa e sollevata da altri giudici. Pare tuttavia opportuno un ulteriore sviluppo delle argomentazioni a sostegno. E ciò non solo perché il dubbio di costituzionalità troverebbe una più convincente collocazione, per fugare i dubbi di ammissibilità prospettati, al di fuori del sistema penale minorile, ma soprattutto perché la scelta del Tribunale dei minorenni di fare riferimento allo schema triadico, proprio della proporzionalità ordinale, rischia di limitare il sindacato della Corte: il riferimento del giudice rimettente ai medesimi tertia comparationis già richiamati in passato, sia pure a fronte di un ulteriore aumento del minimo edittale, sembra costringere la Corte a dover frontalmente smentire i propri precedenti giurisprudenziali, secondo i quali la mancata estensione alla fattispecie plurisoggettiva dell’attenuante pensata per l’ipotesi monosoggettiva di cui all’art. 609-bis, c. 3, c.p. non era manifestamente irragionevole.

Insomma: anziché andare alla ricerca di tertia comporationis che la Corte aveva ritenuto inadeguati nei precedenti arresti, sia pure in una stagione completamente diversa da quella attuale, si potrebbe più solidamente ancorare la questione al più aggiornato vaglio, a due fattori, della proporzionalità cardinale o intrinseca, che mette direttamente a confronto il limite di pena minima imposto dalla legge e la costellazione di fatti di minore gravità riconducibili alla fattispecie incriminatrice, per rilevare la manifesta sproporzione delle sofferenze provocate dalla pena rispetto alla lesione causata dai fatti lievi. In tal senso si potrebbe meglio valorizzare la più recente giurisprudenza costituzionale. Essenziali punti di riferimento sono le sentenze nn. 120 del 2023, 86 del 2024 e, la ancora recente, n. 83 del 2025, rispettivamente, sulla pena minima prevista dai delitti di estorsione (art. 629 c.p.) e rapina (art. 628 c.p.) e Deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 583-quinquies c.p.).

Questa giurisprudenza delinea un vero e proprio diritto fondamentale a non subire una pena manifestamente sproporzionata che legittima l’intervento della Corte per censurare ciò che non è più il frutto dell’esercizio legittimo del potere discrezionale riconosciuto al legislatore ma espressione dell’arbitrio costituzionalmente intollerabile di quest’ultimo[10]. I parametri costituzionali di tale diritto fondamentale vengono tradizionalmente individuati negli artt. 3 e 27, c. 3 Cost.

Nella sentenza n. 120 del 2023[11], che pur dichiara l’illegittimità costituzionale della pena prevista dall’art. 629 c.p., la Corte dichiara infondata l’altra questione sollevata dal Tribunale di Firenze che chiedeva l’estensione dell’attenuante ad effetto speciale prevista dall’art. 609-bis c.p. al delitto di estorsione (art. 629 c.p.) per correggere la manifesta sproporzione del minimo edittale previsto da tale delitto. Come rileva la Corte, «il tertium proveniente dalla disciplina della violenza sessuale è del tutto eterogeneo, quindi radicalmente inidoneo alla comparazione» con il delitto di estorsione[12]. Pur dinanzi al più coerente confronto tra attenuante per la violenza sessuale monosoggettiva e quella di gruppo, sul quale insiste il giudice rimettente nel caso di specie, si tratta di una considerazione simile a quella contenuta nella sentenza n. 325 del 2005 sull’art. 609-octies c.p. Per questa ragione pare preferibile evitare di richiamare l’attenuante di cui all’ultimo comma dell’art. 609-bis c.p. anche solo in funzione di rima adeguata.

Nella sentenza n. 120 del 2023 la Corte ribadisce, invece, la propria volontà di emanciparsi da un giudizio triadico, per far proprio un giudizio di proporzionalità intrinseca. Nel richiamare in particolare le sentenze n. 68 del 2012 e 244 del 2022[13], la Corte ritiene che, dinanzi al «rigido aggravamento del trattamento sanzionatorio» derivante dalle riforme recenti e dall’inclusione nell’ambito applicativo della fattispecie di «episodi marcatamente dissimili, sul piano criminologico e del tasso di disvalore, rispetto a quelli avuti di mira dal legislatore dell’emergenza», sia necessaria «una “valvola di sicurezza” che consenta al giudice di moderare la pena» altrimenti non proporzionata[14]. Sia in questa pronuncia, sia nella già menzionata sentenza n. 86 del 2024 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del minimo di pena del delitto di rapina (art. 628 c.p.), la Corte introduce un’attenuante ad effetto comune «quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità».

Allo stesso esito è giunta la recentissima pronuncia n. 83 del 2025 di illegittimità costituzionale del delitto di cui all’art. 583-quinquies c.p., che è stato oggetto del medesimo intervento di riforma (l. n. 69 del 2019) che ha innalzato nuovamente il minimo edittale della violenza sessuale di gruppo. Anche in questo caso la Corte esclude che la manifesta irragionevolezza o sproporzione possa derivare dalla comparazione con altre fattispecie, come era suggerito dai giudici rimettenti (artt. 583 e 583-quinquies c.p.), ma quest’ultima derivi dall’eccezionale asprezza del minimo edittale a fronte della gamma multiforme di condotte riconducibili al tipo penale[15].

Si tratta di riferimenti giurisprudenziali indispensabili per sostenere e sviluppare la questione proposta dal Tribunale per i minorenni. La medesima argomentazione può estendersi alla fattispecie di violenza sessuale di gruppo, il cui mimino edittale è sensibilmente aumentato all’esito delle recenti riforme, e per la quale manca una “valvola di sicurezza” rappresentata da un’attenuante ad effetto comune analoga a quella già introdotta attraverso le pronunce menzionate.

Nella vana attesa di un intervento legislativo che introduca un attenuante generale, preferibilmente omogenea nell’incidenza frazionaria sulla riduzione di pena, per fatti di lieve entità da affiancare alla causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p., la strada da seguire è quella già tracciata dalle sentenze citate.

 

3. Il rinnovato rilievo del principio di personalità della responsabilità penale.Tornando alla più recente evoluzione della giurisprudenza costituzionale, si rileva che, a differenza del precedente del 2023, la sentenza n. 86 del 2024 sembra segnare una ulteriore svolta innovativa, perché utilizza il principio di personalità della responsabilità penale (art. 27, c. 1 Cost.) nel sindacato sulla proporzionalità intrinseca della pena.

Senza poter qui ricostruire l’ampio dibattito sul fondamento costituzionale della proporzionalità della pena, ci si limita a poche osservazioni su quelli che sembrano segnarne la più recente evoluzione. Se, come è stato osservato, il sindacato sulla proporzionalità della pena ha una struttura completamente diversa dall’omonimo vaglio sulle scelte di incriminazione, perché il primo sarebbe di carattere retrospettivo, mentre il secondo prospettico[16], sembra coerente il riferimento al parametro individualizzante di cui all’art. 27, c. 1 Cost. Quest’ultimo principio è stato per lungo tempo impiegato, in funzione individualizzante, nel giudizio di costituzionalità sugli automatismi sanzionatori manifestamente irragionevoli: come nel caso di pene fisse o dei limiti al bilanciamento delle circostanze (art. 69, c. 4 c.p.) rispetto, in particolare, alla recidiva reiterata (art. 99, c.4 c.p.).

Nella giurisprudenza costituzionale più recente, invece, il principio di personalità della responsabilità penale è entrato, a pieno titolo, anche nella valutazione della proporzionalità intrinseca dei minimi edittali. Solo la presenza di una valvola di sicurezza, creata per via giurisprudenziale, come sancito nelle pronunce menzionate, oppure attraverso l’estensione di un’attenuante già prevista per altre ipotesi con il richiamo alle rime adeguate (e non più a quelle obbligate della proporzionalità “a tre fattori”), si aprono al giudice margini più ampi di discrezionalità per individualizzare la risposta punitiva al fatto lieve. L’estensione della rilevanza del principio di colpevolezza sembra meglio adattarsi allo sguardo retrospettivo del giudizio di proporzionalità della pena, rispetto al più tradizionale riferimento al finalismo rieducativo (art. 27, c. 3 Cost.).

In realtà, il riferimento al finalismo rieducativo non sembra del tutto convincente nell’ambito di un giudizio retrospettivo di proporzionalità che direttamente confronta gravità del reato ed entità della pena. Si afferma, infatti, che una pena manifestamente sproporzionata vanificherebbe qualsiasi finalità rieducativa, perché verrebbe percepita come fatalmente ingiusta dal condannato. Questa condivisibile affermazione sembra tuttavia essere incentrata sulla condizione preliminare e indispensabile di equità e giustizia della pena[17]. La non manifesta sproporzione non ha di per sé a che fare con il contenuto del principio rieducativo. Semmai la proporzione funge astrattamente da limite a derive anti-garantistiche della rieducazione[18].

Pare, allora, preferibile tenere distinto il presupposto dal contenuto del principio. Interpretata come fondamento della proporzione, la finalità rieducativa si trasforma nella sua pre-condizione e perde così il suo significato più innovativo: quello di riferirsi al nucleo più rilevante delle garanzie per il reo, ossia alle modalità e agli effetti della pena. Il contenuto della rieducazione, quale che sia il significato che le si voglia attribuire, ha una dimensione marcatamente prospettica (non retrospettiva); indica un programma futuro di cambiamento comportamentale. Costretta in una prospettiva rivolta al passato, che è incentrata sulla gravità del fatto, la finalità rieducativa sembra perdere completamente il suo carattere rivoluzionario, che è legato alla scommessa sulla pena come fattore in grado influenzare positivamente il comportamento futuro.

 

4. Il rilievo della finalità rieducativa della pena e l’incidenza della fase esecutiva nel giudizio di proporzionalità della pena. – Nella differente visione appena tratteggiata, la finalità rieducativa della pena include la disciplina dell’esecuzione della pena nel giudizio di manifesta sproporzione della pena. In tal senso, la recente sentenza n. 83 del 2025 si constata che «la severità del trattamento sanzionatorio della nuova fattispecie delittuosa è resa più incisiva dall’inserimento dell’art. 583-quinquies cod. pen. negli elenchi di cui all’art. 4-bis, commi 1-quater e 1-quinquies, ordin penit.». Se la misura della pena si adatta al percorso rieducativo, attraverso riduzioni quantitative, come nel caso della liberazione anticipata di cui all’art. 54 o.p., e modifiche qualitative attraverso l’accesso ai benefici e alle misure alternative, ogni deroga alla flessibilità proporzionale della pena dovrebbe entrare nella valutazione operata dalla Corte costituzionale.

Allo smisurato minimo edittale della fattispecie plurisoggettiva, che non può essere temperato da una “valvola di sicurezza”, si aggiunge, in fase esecutiva, l’applicazione della disciplina più restrittiva, per l’accesso a benefici e misure alternative, di cui all’art. 4-bis, c. 1-bis, così come riformulato, in senso sostanzialmente peggiorativo dal d.l. 162 del 2022. Gli autori di un fatto, anche di lieve entità, di violenza sessuale di gruppo possono accedere a benefici e misure alternative «purché gli stessi dimostrino l'adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l'assoluta impossibilità di tale adempimento e alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria e alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo, che consentano di escludere l'attualità di collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, con il contesto nel quale il reato è stato commesso, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile. Al fine della concessione dei benefici, il giudice di sorveglianza accerta altresì la sussistenza di iniziative dell'interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa». Questo surplus di pena non sembra poter essere estromesso nel giudizio di proporzionalità.

Pur trattandosi di disposizioni che meriterebbero di essere di per sé sottoposte al vaglio di legittimità costituzionale, la loro incidenza sulla misura della pena sembra tutt’altro che trascurabile. In questa prospettiva il vaglio sulla proporzionalità intrinseca non può essere circoscritto alla pena “sulla carta”, come stabilita dalla cornice edittale, ma dovrebbe includere la pena “in azione”, come disciplinata nella fase esecutiva, alla luce del principio costituzionale di rieducazione. Si tratta di un argomento che rende ancora più sospetta di illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 27, c. 1 e 3 Cost., la pena minima prevista dall’art. 609-octies c.p.

Anche a prescindere da un giudizio di proporzionalità comparativa, va comunque rilevato che, l’autore di un fatto lieve di violenza sessuale monosoggettiva, oltre a beneficiare di una consistente riduzione di pena, è completamente sottratto, in base all’ultimo periodo dell’art. 4-bis, c. 1-quater, o.p., ai limiti (comunque meno stringenti) di accesso a benefici e misure alternative che pure si applicano agli autori del delitto di cui all’art. 609-bis c.p.

 

 

 

[1] Cfr. G. Marra, Profili di illegittimità costituzionale dell’art. 609-octies c.p., in Cass. pen., 1997, p. 1027 ss.

[2] Così Corte cost., sent. n. 325/2005, § 5 Cons. dir., con nota di G. Di Chiara, Violenza sessuale di gruppo: non è irragionevole l'omessa previsione dell'attenuante speciale dei "casi di minore gravità", in Dir. pen. proc., 10/2005, p. 1231 ss.; decisione ribadita nella successiva ordinanza n. 170 del 2006.

[3] Corte cost., sent. n. 341/1994, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del delitto di oltraggio a pubblico ufficiale nella parte in cui prevedeva come minimo edittale la reclusione per mesi sei, riportando il minimo edittale stabilito, in via generale dall’art. 23 c.p.; la dichiarazione di illegittimità costituzionale poggia su due convergenti argomenti: la sproporzione del minimo edittale, che è frutto di un anacronismo legislativo, e il confronto con il delitto di ingiuria.

[4] Corte cost., sent. N. 68/2012 con nota di S. Seminara, Il sequestro di persona a scopo di estorsione tra paradigma normativo, cornice di pena e lieve entità del fatto, in Cass. pen. 2012, p. 2393 ss.; C. Sotis, Estesa al sequestro di persona a scopo di estorsione una diminuzione di pena per fatti di lieve entità. Il diritto vivente “preso — troppo? — sul serio”, in Giur. cost., 2012, p. 906 ss.

[5] Corte cost., sent. n. 236/2016, con nota di F. Viganò, Un’importante pronuncia delle Consulta sulla proporzionalità della pena, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 2/2017, p. 61 ss.

[6] Per un aggiornato quadro di sintesi dell’evoluzione giurisprudenziale sul principio di proporzionalità della pena cfr. G. Ponteprino, La "storia infinita" del sindacato sulla proporzionalità della pena, in questa Rivista, 9 settembre 2024; F. Viganò, La proporzionalità nella giurisprudenza recente della Corte costituzionale: un primo bilancio, in questa Rivista, 8 gennaio 2025.

[7] per tutti, F. Viganò, La proporzionalità della pena, Torino 2021, p. 224 ss. e, in particolare, p. 266 ss.

[8] In tal senso v. C. Cost., sent. n. 63/2022, con nota di A. R. Salerno, Il giudizio sulla proporzionalità della pena tra modello triadico e modello diadico, in Giur. cost., 2/2022, p. 794 ss.

[9] Corte cost., sent. n. 46/2024, sulla quale v. le riflessioni di Ponteprino, op. cit., p. 14 ss.

[10] Sull’evoluzione della giurisprudenza costituzionale sul principio di proporzionalità della pena, che è ora inteso non più unicamente come vincolo per il legislatore, ma come canone ermeneutico per il giudice comune si veda la recente sentenza n. 113/2025, in questa Rivista, con nota di G. Gatta, Un’importante sentenza della Corte costituzionale sul principio di proporzionalità della pena come criterio di interpretazione restrittiva delle fattispecie penali, 21 luglio 2025.

[11] A. Peccioli, La proporzionalità del minimo edittale dell’estorsione: una trasfigurazione del tertium comparationis, Dir. pen. proc., 9/2023, p. 1323 ss.

[12] Par. 6.1. del Considerato in diritto

[13] Corte cost., sent. n. 244/2022; E. Penco, Proporzionalità della pena e ibridazione dei modelli di giudizio: estesa al sabotaggio militare l’attenuante della lieve entità del fatto, Dir. pen. proc., 9/2023, p. 1145 ss.; sia consentito il rinvio a M. Dova, La proporzionalità “intrinseca” della pena: il caso del sabotaggio di opere militari, Giur. cost., 6/2022, p. 2753 ss.

[14] Par. 7.6. e s. del Considerato in diritto.

[15] Rispettivamente §§ 4.3. e 4.6. del Considerato in diritto.

[16] Cfr. N. Recchia, Il principio di proporzionalità nel diritto penale, Giappichelli, 2020, p. 231 ss.; F. Viganò, La proporzionalità nella giurisprudenza recente, cit., p. 10 ss.

[17] La proporzione come corollario della retribuzione G. Bettiol, Colpevolezza normativa e pena retributiva, in Id., Scritti giuridici, Padova 1966, p. 602 ss. diviene condizione di legittimità della finalità rieducativa, come teorizzato da E. Dolcini, La commisurazione della pena, Padova 1979, p. 179 s.

[18] Cfr. di recente, M. Pelissero, Il principio di proporzionalità (non sproporzionalità) delle pene: recenti sviluppi delle fonti eurounitarie sul principio di legalità delle pene, in Dir. pen. proc., 10/2023, p. 1365; ampiamente sul punto F. Viganò, La proporzionalità della pena, cit., p. 246 ss.